La pallina d'argento - di Giovanna Santarsiero

 



Anche Tivoli, si accingeva a dare il benvenuto al Natale, il tempo più nostalgico e incantato dell’anno, quello che tutti attendono caricandosi di aspettative, desideri e speranze. 

Nella piazza centrale, come da tradizione, fra le bancarelle che componevano i mercatini natalizi, le luminarie che scintillavano come stelle e le melodie che si diffondevano nell’aria fredda e profumata di vin brulé, alcuni operai erano alle prese con l’allestimento dell’albero che sarebbe stato acceso la sera dell’otto dicembre.

In quel clima di festa e di attesa, nella quiete della sua dimora, come ogni anno, Anna si preparava psicologicamente ad affrontare un mese tanto luminoso, quanto doloroso, intriso com’è di ricordi dolci ma struggenti.

Venti anni prima, un incendio aveva devastato la sua abitazione, portandole via ciò che aveva di più prezioso al mondo: Giulia, la sua bambina. Quel triste ricordo pungeva il suo cuore come una spina che non può essere letale, ma causa un dolore costante e che non trova sollievo.

Andare avanti era stato un cammino faticoso, disseminato di giorni vuoti e notti insonni. Più volte Anna aveva temuto di non farcela, finché, la notte dell’Immacolata di cinque anni prima, Giulia le apparse in sogno.  La bambina le aveva parlato con voce serena, invitandola a  non chiudersi nel suo dolore, bensì di farne tesoro. Le aveva chiesto di lasciare che il suo piccolo cuore d’argento divenisse faro di speranza per tutti coloro che vivevano, come lei, un momento difficile.

Da quel giorno, Anna,  ogni 8 dicembre, durante la cerimonia di inaugurazione, consegnava al comune la sfera argentata con inciso il nome della sua bambina, come simbolo di amore e di speranza, proprio come sua figlia le aveva detto di fare.

Anche quell’anno tutto avvenne secondo il solito cerimoniale: la folla applaudì, le luci si accesero e la sfera di Giulia venne collocata nel punto centrale del maestoso abete.

Il giorno successivo, però, accade qualcosa di sconcertante. 

Il maresciallo Luca Ferretti, seduto nel suo ufficio della stazione dei carabinieri, fu interrotto da un bussare deciso.

Era il proprietario del bar che dava proprio sulla piazza: il volto teso, la voce concitata. 

 -Maresciallo, la sfera d’argento. . . è sparita! -

Ferretti si precipitò sul posto. L’albero svettava ancora imponente, ma al centro mancava proprio quella sfera, il cuore simbolico della cerimonia.

Iniziò a interrogare i presenti: operai, commercianti, passanti. 

Tutti, guardandolo interdetti, rispondevano sempre allo stesso modo:

— Non abbiamo toccato nulla! —

Ritrovare l’oggetto sembrava un’ impresa ardua. 

Il maresciallo trascorse la mattinata a raccogliere testimonianze, finché non si fermò davanti alla bancarella di un’anziana signora che vendeva sfere di cristallo.

- Buongiorno, signora. Ha notato qualcosa di insolito nei pressi dell’albero? -

La donna aggrottò la fronte, riflettendo su per qualche istante.

- Ora che ci penso . . . alle prime luci dell’alba ho visto una figura muoversi con circospezione ai piedi dell’albero. Non saprei dire chi fosse -.

- La ringrazio, il suo aiuto è stato molto prezioso -.

Ferretti, ottenuta un’autorizzazione, si recò presso la banca che affacciava sulla piazza per visionare le registrazioni delle telecamere di sorveglianza che riprendevano anche la zona che accerchiava il maestoso abete.

Scorrendo le immagini, individuò una sagoma avvolta in un mantello scuro. L’uomo si avvicinava all’albero con passo lento, esitante, e con un gesto quasi devoto staccava la sfera argentata, riponendola con cura sotto il cappotto. Nessun segno di vandalismo, nessuna fretta: solo un’attenzione insolita, quasi affettuosa.

Quel comportamento destò in Ferretti una curiosità profonda. Decise di approfondire e, consultando vecchi rapporti e articoli di giornale, fece una scoperta sorprendente: ogni anno, puntualmente, la sfera veniva sottratta il giorno dopo l’inaugurazione e poi riconsegnata la mattina di Natale, senza che nessuno avesse mai compreso come o da chi.

Ma dove veniva portata, in quelle settimane di misteriosa assenza, la sfera d’argento di Giulia?

Girò a lungo per la cittadina, seguendo un’intuizione che lo conduceva, passo dopo passo, verso il luogo dove tutto aveva avuto inizio e fine. 

Quando varcò il cancello del cimitero, l’aria era immobile, intrisa di un silenzio che pareva sospeso tra la terra e il cielo.

Camminò tra le lapidi fino a trovare quella della piccola Giulia. Lì, accanto a un mazzo di fiori freschi, la sfera d’argento brillava sotto la luce pallida del mattino. Accanto, un biglietto piegato con cura recava poche parole, semplici e strazianti:

“Perdonami, perché non ho saputo salvarti. Brilla anche da lassù.”

Ferretti rimase immobile. Quelle parole, intrise di dolore e tenerezza, gli bastarono per comprendere. Non era stato un ladro a sottrarre la sfera, ma Marco, il pompiere che vent’anni prima aveva tentato invano di strappare la bambina alle fiamme.

Avvertì dietro di sé una presenza.

 Si voltò lentamente e lo vide: un uomo alto, il volto scavato dal tempo e dal rimorso, lo sguardo basso, come se portasse sulle spalle il peso di un’intera vita.

- Da quel maledetto giorno non trovo pace - disse Marco con voce roca - Giulia doveva vivere, e io non sono stato capace di salvarla dalle fiamme -. Fece una pausa, poi aggiunse, quasi sussurrando -Lei merita di brillare nella sua unicità, non di restare appesa fra le altre sfere - .

Ferretti lo osservò in silenzio. In quelle parole non c’era follia, ma un dolore puro  che cercava redenzione. 

Tornato in città, il maresciallo raccontò tutto ad Anna, la madre di Giulia. 

La donna lo ascoltò senza sorpresa.

Non aveva mai sporto denuncia, perché da tempo aveva intuito la verità.

- Vorrei incontrarlo -  disse con voce ferma ma dolce - Voglio ringraziarlo per la delicatezza con cui ha continuato a ricordare la mia bambina- .

La mattina di Natale, sotto l’albero illuminato nella piazza di Tivoli, Anna e Marco si incontrarono. Non servivano parole: bastò uno sguardo per colmare vent’anni di silenzio. Insieme, sollevarono la sfera d’argento e la riappesero al suo posto, al centro dell’albero, dove la luce la fece scintillare come una piccola stella.

Alle loro spalle, il maresciallo Ferretti osservava la scena con gli occhi lucidi. Dal cielo cominciavano a cadere fiocchi di neve leggeri come ovatta, e in quel momento, dopo molti anni, sentì che anche lui poteva finalmente perdonarsi per ciò che aveva perduto.



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