I luoghi non cambiano: siamo noi a farlo, e, conseguentemente, anche ciò che i nostri occhi riescono a vedere.
Modica.
Erano trascorsi dieci anni dall’ultima volta in cui Luisa aveva messo piede lì, fra quelle case dorate ai pendici della valle, protese verso il cielo. Sembravano voler custodire segreti passati che nessuno aveva mai trovato il coraggio di svelare o forse ascoltare davvero.
Aveva giurato a sé stessa che non sarebbe più tornata lì, eppure sedeva sul sedile posteriore di un taxi bianco che la stava riportando verso la sua casa d’infanzia, quella che l’aveva vista crescere, quella che l’aveva vista diventare donna prima della sua inarrestabile partenza, quella che sarebbe stata venduta a breve.
Ecco la ragione del suo viaggio: tornare da mamma Teresa per aiutarla a svuotare quelle stanze da un ingombrante passato, dalle discussioni e i logorroici silenzi.
Mantenere quella casa era diventato impossibile, soprattutto dopo la morte di suo padre Rodolfo, affetto di fibrosi polmonare idiopatica, una malattia lenta, che gli aveva privato del respiro giorno dopo giorno, fino a spegnerlo del tutto.
Luisa aveva compreso la scelta di sua madre: lasciare andare quella casa e chiudere la porta su un dolore che non si poteva più abitare per via del fattore economico. Andrea, suo fratello minore, molto meno. Almeno era ciò che sua madre Teresa le aveva confidato, perché fra i due fratelli si era levato un muro, alto e invalicabile.
Ora quelle strade, quelle case, quella luce del giorno spenta da un grigiore che sembrava abbassare il cielo come un manto che vuole coprire tutto, avevano su di lei un impatto diverso. Temeva di scendere da quel taxi, come fosse un astronave che la stesse conducendo su di un pianeta che conosceva ma che non voleva più visitare.
Arrivata lì, trovò l’uscio socchiuso.
Superò la soglia e si diresse verso l’ingresso di casa.
Venne invasa dal silenzio dell’inverno, squarciato a tratti da dei rumori lontani, quasi ovattati, provenienti dal piano superiore. Era presente già qualche scatolone sigillato con cura sul quale Teresa aveva accuratamente appuntato il contenuto, così da facilitarsi nel momento in cui avrebbe dovuto sistemare tutto nella nuova abitazione.
Avanzava lentamente, soffermandosi sulla soglia di ogni stanza per respirare ogni frammento di ricordo che aleggiava nell’aria: cene rumorose, discussioni, risate e il silenzio di suo padre, un uomo che taceva più di quanto parlasse.
Aveva impiegato così tanto tempo per poter dimenticare in qualche modo quei ricordi, non per chissà quale arcana ragione, solo per alleggerire il fardello che portava con sé.
Luisa non aveva mai accettato la malattia del padre e poi quel paese le stava troppo stretto, per quello aveva deciso di andare via da lì. Motivi che l’avevano condotta ad una rottura permanente con Andrea che aveva visto la sua fuga come un abbandono. L’aveva pregata tanto quando il padre si ammalò, ma lei decise di non tornare: non avrebbe retto nel vedere il proprio padre piegato dinanzi al dolore.
Così il silenzio aveva scavato nei loro animi, nutrendosi di orgoglio e ferite impossibili da rimarginare.
- Sei tornata allora! –
Luisa si voltò, udendo quella voce così familiare, e vide dinanzi a lei sua madre. Il dolore la stava consumando: il suo viso era scarno e i segni del tempo molto evidenti; i capelli bianchi si erano triplicati, tingendo d’argento la capigliatura color caffè, molto simile alla sua, e la figura si era assottigliata. Pareva che gli abiti fasciassero solo le ossa, rivestite da una stanca pelle sulla quale la vita si era divertita a intessere crepe indelebili. La guardò con occhi lucidi. Dov’era finita sua madre?
Corse verso di lei e l’abbraccio forte.
- Sono venuta da te, mamma!- Rispose fra le lacrime.
Nei giorni che precedettero il Natale, Luisa e Teresa si dedicarono alla sistemazione degli ultimi oggetti da riporre, piegando ricordi più che vestiti, chiudendo scatole che sembravano contenere vite intere. Andrea abitava lì, a Modica, ma fece di tutto per evitare la casa della madre. Era venuto a conoscenza del ritorno della sorella e non aveva intenzione di incrociarla.
Luisa, dal canto suo, che aveva ben capito la ragione per cui suo fratello sembrava fosse svanito nel nulla, non aveva intenzione di alimentare ansia né riaprire vecchie ferite, così cercò di sbrigarsi, desiderosa di tornare a Milano il prima possibile, lontano da quella casa che trasudava passato e malinconia.
Tuttavia, sua madre tentò di farla rimanere per Natale.
-Mamma, sai bene qual è la situazione!- disse Luisa quella mattina. Avevano sistemato tutto lasciando intatta solo la cucina.
- Luisa, figlia mia, non te ne andare – disse Teresa con gli occhi lucidi – Pensaci, è l’ultimo Natale che trascorreremo in questa casa!-
A quelle parole Luisa cedette. Sua madre aveva ragione, nonostante in cuor suo provò una certa riluttanza verso quell’invito.
La sera della vigilia stava terminando di apparecchiare la tavola mentre sua madre era alle prese con gli ultimi preparativi della cena. Inevitabilmente, lo sguardo di Luisa scivolò sulla sedia posta a capotavola, quella che un tempo occupava suo padre. Quel vuoto lacerò profondamente il suo cuore. Come era potuto accadere che la vita avesse cancellato così in fretta la sua presenza?
Una lacrima le solcò il viso.
All’improvviso, il trillo del campanello ruppe il silenzio. Lei cacciò via quella stilla luminosa che pendeva dagli occhi, mentre sua madre corse ad aprire.
Era Andrea.
Salutò calorosamente sua madre poi, entrando nel salone, vide Luisa e si irrigidì. Lei si voltò e per un istante i loro occhi si incrociarono. Si salutarono con un accenno del capo, solo per non far mortificare Teresa.
Luisa lo osservò: in quegli occhi rivide sé stessa.
Fin da bambini venivano definiti gemelli. Li separava solo un anno e condividevano gli stessi tratti scuri della madre, se non fosse per gli occhi verdi del padre.
La cena iniziò nel silenzio più totale, nonostante Teresa tentò di fare domande a entrambi nel tentativo di farli parlare. Poi accadde un piccolo incidente che destabilizzò tutti. Nel tentativo di prendere una bottiglia di vino, Teresa fece cadere dallo scaffale una scatola di latta che, atterrando bruscamente sul pavimentò, si aprì. All’interno era presente una lettera e un registratore. Sulla busta ingiallita c’era scritto a penna: per i miei figli.
Fu Luisa ad aprirla e a leggerne il contenuto ad alta voce:
“Se state leggendo queste righe è perché non ci sono più. In vita, non ho saputo dire le cose giuste, probabilmente, ma ho amato ognuno di voi a modo mio. Luisa, so che tu non sei scappata per codardia, ma solo perché questo posto ti stava stretto e non riuscivi ad accettare l’idea che io stessi tanto male. Tu, Andrea, sei rimasto non per dovere ma per amore e hai visto la fuga di tua sorella come un abbandono per via del tuo carattere troppo insicuro. Vi prego, non fate del mio silenzio il vostro!”
Tutti si guardarono ammutoliti.
Andrea prese il registratore e lo premette sul tasto Play. La voce del padre si diffuse in quella casa ormai quasi vuota, riempiendo ogni angolo.
Rodolfo raccontava le pagine della sua vita durante la malattia. Ogni parola era una lama che li colpiva, uno ad uno, scavando solchi già profondi. Il colpo di grazia arrivò con la sua confessione più intima, quella che nessuno avrebbe mai dimenticato:
“ Vorrei che i miei figli sapessero che io li ho sempre capiti e amati e che, quando un giorno sarò lontano fisicamente, ma non con la mia anima, desidero fossero uniti più che mai. Il silenzio che mi ha contraddistinto non è stato una mancanza d’amore, bensì paura, sì, la paura di poter ferire. Ma il silenzio allontana e va combattuto!”
Copiose lacrime inondarono i visi dei tre che ascoltavano quella voce con il cuore, prima che con le orecchie. Fu un dono quello, un dono prezioso che il padre aveva deciso di concedere loro.
Andrea guardò sua sorella con una luce diversa negli occhi e disse – Forse, non abbiamo mai saputo ascoltarlo per davvero!-
- E forse non siamo mai riusciti ad ascoltarci anche noi! – sussurrò Luisa.
Si sciolsero poi in un abbraccio, capace di rompere le ossa e rimetterle in sesto, sotto gli occhi colmi di gioia di Teresa, che attendeva da tempo quel momento magico di riconciliazione.
Si riunirono poi intorno alla tavola imbandita. Teresa aveva acceso le candela posta al centro della tavola, Luisa versò il vino nei bicchieri, riempiendo anche quello messo di fronte al posto vuoto del padre e Andrea porse lei il pane. Gesti semplici, silenziosi ma carichi di forti promesse.
Fuori, oltre le vetrate, la neve iniziò lenta a cadere, velando con la sua purezza quella casa che sembrava solo un luogo arido da abbandonare, ma che aveva trovato il coraggio di ritornare ad essere un rifugio temporaneo; un grembo materno che li accolse per quell’ultimo Natale.
Il giorno di Santo Stefano dovettero lasciare quella casa.
Dopo tanti anni Luisa aveva fatto pace con il passato e con sé stessa.
Chiudendo alle sue spalle la porta, Luisa lasciò che le parole del padre, di memoria e perdono, aleggiassero ancora una volta attraverso il registratore per inviare quell’ultimo messaggio che avrebbe custodito con sé per sempre: “Non lasciate mai che il silenzio vi separi. Parlatevi, anche quando fa male!”
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