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Recensione a cura di Rosa Pace.
Dopo In the Mood for Love, era
inevitabile che mi avvicinassi a 2046, ed รจ stato un innamoramento totale. Wong Kar-wai riprende personaggi, atmosfere e temi, ma li espande in un viaggio ancora piรน complesso, piรน onirico, piรน stratificato. ร un film che attraversa il tempo, i ricordi, l’illusione dell’amore, e lo fa con un’eleganza struggente.
Qui, la sensualitร si fa ancora piรน malinconica, come se ogni gesto contenesse un ricordo, ogni sguardo fosse giร consapevole di una perdita. La narrazione รจ frammentata, ma mai confusa: ci si lascia trasportare da immagini che sembrano quadri, musiche che entrano sotto pelle, dialoghi che restano sospesi nell’aria come profumi.
Lui cerca di dimenticare, o forse di ritrovare, quella storia passata, e intanto incontra altre donne, altri sguardi, altre possibilitร . Ma il tempo – 2046 รจ anche un luogo immaginario dove nulla cambia mai – si trasforma in una prigione interiore.
Anche qui, la pelle quasi non si vede. Ma si sente tutto: il desiderio, la distanza, l’impossibilitร di afferrare davvero l’altro. C’รจ un erotismo sotterraneo, fatto di dettagli, di mani che tremano, di occhi che raccontano piรน delle parole. ร come se 2046 portasse alle estreme conseguenze quella tensione che In the Mood for Love ha solo sussurrato.
Wong Kar-wai non gira film, costruisce sogni ad occhi aperti. E io, in questi sogni, mi ci perdo volentieri.
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